giovedì 6 dicembre 2012

Quoziente Emotivo

Frequentando un corso di aggiornamento, mi sono ritrovato a parlare di Q.E. ovvero di Quoziente Emotivo.
Un po' come tutti, credo, avevo più dimestichezza con il Q.I. , il Quoziente Intellettivo, quindi son rimasto sul momento interdetto ed ho così drizzato le orecchie, per cercare di capire dove volesse andare a parare il relatore.
Cos'è il QE? Questo fantomatico quoziente emotivo?
Uno dei più illustri psicologici sostenitore e teorizzatore di questa forma di intelligenza è Goleman, psicologoe giornalista americano, che la definisce come:
<<la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare>>
Quello che mi affascina di questa cosa è l'aspetto delle competenze sociali (il Q.E. possiamo vederlo come formato da una parte di competenze personali e di una di competenze, appunto, sociali).
E di queste competenze, un ruolo fondamentale lo riveste "l'empatia", che possiamo semplificare come la capacità di mettersi nei panni dell'altro.
Credo che la stretta interazione tra Q.I. e Q.E., che vedo come forme complementari, sia la chiave del successo di una persona, successo sia personale che lavorativo. Non credo che fredde macchine umane senzienti che analizzano dati, riescano ad essere sempre efficienti quando si ha a che fare con le persone e soprattutto con le loro emozioni; credo invece che persone emozionalmente strutturate (passatemi la definizione) siano qualcosa di veramente bello ed appagante, una ricchezza.
Pensiamo ad un ospedale.
Certo, lo sviluppo di cure e il debellare malattie, è un qualcosa a mio avviso legato al Q.I. ed alla competenza di ricercatori spesso chiusi in laboratorio a provare e sperimentare per anni nuove soluzioni per nuove e meno nuove malattie; ma il personale medico a contatto col paziente, specialmente gli infermieri che sono il terminale della filiera, quello che parla al paziente, beh, almeno loro dovrebbero essere personale emotivamente intelligenti, piuttosto che completamente razionali.



Chiudo (solo per il momento) il post con un'interessante definizione trovata su Wikipedia:
 
La consapevolezza delle proprie emozioni è un elemento chiave al fine di maturare un'appagante vita sociale fondata sull'interscambio e sulla capacità empatica, in un rapporto che coinvolge una pluralità di interlocutori.
L'utilizzo di questa forma di intelligenza si fonda sulla capacità di intuire i sentimenti, le aspirazioni e le emozioni delle persone che ci circondano e di avere una piena cognizione del proprio stato d'animo. Questo consente di orientare opportunamente i comportamenti a favore di obiettivi individuali o comuni.
Ciò che ci permette di essere "emotivamente intelligenti", quindi, non è essere sempre felici, ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, e saperle utilizzare per vivere al meglio la nostra vita.
 

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